Rapporto ISS COVID-19 • n. 28/2020

Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19.

Gruppo di Lavoro ISS Test Diagnostici COVID-19 e Gruppo di Lavoro ISS Dispositivi Medici COVID-19. Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19. Parte 1: normativa e tipologie. Versione del 18 maggio 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 28/2020)

I dispositivi diagnostici in vitro (IVD) rappresentano strumenti essenziali per un’efficace gestione dell’epidemia di COVID-19. È tuttavia cruciale comprendere appieno quali informazioni possano fornire i differenti test disponibili sul mercato e quale livello di prestazioni mostrino. Questi aspetti hanno infatti notevole impatto sull’identificazione delle persone con infezione in corso e sul monitoraggio del decorso clinico e, quindi, sul controllo della pandemia. Il 15 aprile 2020 la Commissione Europea ha pubblicato le linee guida sui dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19. Nel presente rapporto vengono diffusi i contenuti relativi (i) agli aspetti normativi che regolano l’uso e la commercializzazione degli IVD per COVID-19 in Italia e nei paesi dell’Unione Europea e (ii) alle diverse tipologie di IVD che possono essere rinvenute sul mercato.

Introduzione

I dispositivi diagnostici in vitro (In Vitro Diagnostic Device, IVD) rappresentano uno strumento essenziale per la gestione dell’epidemia di COVID-19. Attraverso questa pubblicazione si intende diffondere una prima parte dei contenuti della linea-guida pubblicata dalla Commissione Europea il 15 aprile 2020 (1), fornendo ulteriori approfondimenti e focalizzando l’attenzione in particolar modo sugli aspetti informativi utili per chi, durante questa emergenza epidemica, si trova a doversi orientare sulla scelta di dispositivi diagnostici per COVID-19. Vengono fornite informazioni generali relativamente al contesto legislativo e alla tipologia di dispositivi circolanti, per orientare le scelte degli stakeholders verso i dispositivi che diano maggiori garanzie in relazione allo stato dell’arte ed alla loro conformità ai requisiti previsti dalla legge. I restanti contenuti della suddetta linea-guida della Commissione Europea, relativi al mercato degli IVD, al loro corretto utilizzo in relazione con lo scopo previsto (intended use) ed alle prestazioni indicate dal fabbricante, saranno oggetto di un separato rapporto.

Dispositivi diagnostici in vitro: il contesto normativo dell’Unione Europea
Direttiva 98/79/CE

L’uso e la commercializzazione degli IVD per COVID-19 sono attualmente regolamentati dalla Direttiva 98/79/CE, recepita in Italia attraverso il DL.vo 332/2000 (2, 3). Il fabbricante deve conformarsi alle disposizioni pertinenti della Direttiva, che non prevede per questi dispositivi misure particolarmente stringenti. Per i dispositivi relativi ad alcuni agenti infettivi (esclusivamente quelli elencati nell’allegato II della Direttiva) e per i dispositivi auto-diagnostici (dispositivi destinati ad essere utilizzati dal paziente stesso in ambito domestico) è prevista una valutazione da parte di un Organismo Notificato, designato ai sensi della Direttiva, che include ispezioni presso il sito produttivo, valutazione della documentazione tecnica relativa al dispositivo e, per le categorie di dispositivi a più alto rischio, il controllo di ogni lotto prodotto dal fabbricante. In base alla normativa vigente, tali controlli non sono applicati ai test per COVID-19. Infatti, essendo SARS-CoV-2 un virus di recente apparizione, i dispositivi per la diagnostica del COVID-19 non sono presenti nell’elenco dell’Allegato II (elenco dei dispositivi per patogeni ad alto rischio, redatto oltre venti anni fa) e quindi non è prevista una valutazione da parte di un Organismo Notificato (a meno che non siano auto-diagnostici). La Direttiva prevede che per i diagnostici per COVID-19 il fabbricante (e/o il mandatario, nel caso il fabbricante non sia stabilito nell’UE) possa immettere il dispositivo IVD sul mercato sotto la propria esclusiva responsabilità apponendo il Marchio CE. Il fabbricante deve essenzialmente:  redigere un fascicolo tecnico che dimostri esplicitamente che il test sia sicuro ed efficace, dimostrando la conformità ai requisiti previsti dall’allegato I (Requisiti Essenziali) della Direttiva;  adottare i provvedimenti necessari affinché il processo di fabbricazione segua principi dell’assicurazione di qualità adeguati ai prodotti fabbricati;  redigere una Dichiarazione CE di conformità (senza bisogno di alcuna valutazione di un Organismo Notificato).  nominare un proprio Rappresentante nell’Unione Europea (Mandatario) se il fabbricante non ha la propria sede legale stabilita nell’Unione Europea. Per i dispositivi per i quali non interviene un Organismo Notificato, il Fabbricante appone il Marchio CE; per quelli in cui interviene un Organismo Notificato nel processo di valutazione della conformità (cioè i dispositivi per i patogeni riportati nell’allegato II della Direttiva ed i dispositivi auto-diagnostici) il Fabbricante appone il Marchio CE seguito da un codice numerico di 4 cifre, che identifica l’Organismo Notificato che ha eseguito la valutazione ed ha rilasciato un Certificato CE di conformità. La Direttiva prevede, in via eccezionale e nell’interesse della protezione della salute, che uno Stato membro, in risposta ad una richiesta debitamente giustificata, possa autorizzare l’immissione sul mercato nel suo territorio di singoli dispositivi per i quali non siano state applicate tutte le previste procedure di valutazione della conformità (es. in attesa del completamento della valutazione del dispositivo). Nell’adottare tali deroghe, l’autorità nazionale competente dello Stato membro deve effettuare una valutazione che 3 consideri attentamente i rischi dell’utilizzo in relazione all’urgenza dell’impiego. Le procedure nazionali per l’adozione di tali deroghe variano da uno Stato membro all’altro. Infine, la Direttiva non si applica ai dispositivi fabbricati ed utilizzati all’interno di una stessa struttura sanitaria (i cosiddetti dispositivi interni od home brew). Tali pratiche sono generalmente coperte dalla legislazione nazionale, che può tuttavia variare in modo significativo tra gli Stati membri.

Regolamento UE 2017/746

A partire da maggio 2017 è in vigore il nuovo Regolamento UE 2017/746 per gli IVD (4), che prevede controlli più stringenti sui dispositivi ed in particolare su quelli per cui è stimato un alto rischio individuale e per la salute pubblica, come nel caso degli IVD per COVID-19. Infatti il Regolamento prevede per questi dispositivi una valutazione da parte di un Organismo Notificato e test sui lotti di produzione da parte di un Laboratorio Europeo di Riferimento. Tuttavia, sebbene in vigore, il Regolamento non è attualmente applicabile in quanto la sua implementazione deve essere ancora completata. Infatti manca la designazione sia dei Laboratori Europei di Riferimento per effettuare i test sui lotti, sia di un numero adeguato di Organismi Notificati autorizzati per le procedure di valutazione di conformità previste, nonché l’elaborazione di linee guida per la concreta applicazione. Il Regolamento UE 2017/746 prevede un periodo transitorio, dalla data della sua entrata in vigore e fino al 26/05/2022, durante il quale la conformità dei dispositivi medico-diagnostici in vitro può continuare ad essere valutata ai sensi della Direttiva 98/79/CE.

Tipologie di dispositivi per la diagnosi di COVID-19

I dispositivi diagnostici vengono classificati in diverse tipologie a seconda (a) della necessità di usare o meno apparecchiature per l’esecuzione del test, (b) del tipo di marcatore che viene rilevato e (c) della persona che dovrà utilizzare il test (personale sanitario vs. semplice cittadino).

Classificazione in base all’uso o meno di apparecchiature

La Commissione Europea ha definito “test rapidi” esclusivamente i test che non richiedono un’apparecchiatura per ottenere il risultato (5). Pertanto, si possono distinguere due categorie principali di test commerciali marcati CE:  test per l’uso su macchine analizzatrici (qualitativi, semiquantitativi o quantitativi); possono essere più o meno automatizzati  test rapidi (qualitativi o semiquantitativi), utilizzati singolarmente o in piccole serie; non necessitano di apparecchiature (comportano procedure manuali, non automatizzate) Sebbene alcuni test per l’uso su macchine analizzatrici automatizzate possano anch’essi fornire risultati in tempi rapidi ed essere progettati sotto forma di apparecchiature portatili, questi non rientrano nella definizione di “test rapidi” della Commissione Europea. Ad esempio, i test commerciali che adottano metodiche molecolari “NAT” (Nucleic Acid Testing) sono considerati non rapidi anche nel caso che siano in grado di assicurare un risultato più velocemente rispetto ai test convenzionali (come nel caso di test che si avvalgono di dispositivi portatili, utilizzabili al di fuori del laboratorio).

Classificazione in base alla tipologia di marcatore rilevato

Una modalità di classificazione dei saggi disponibili per la diagnostica in vitro di SARS-CoV-2 si basa sulla tipologia dei marcatori rilevati.

Saggi che rilevano la presenza di componenti del virus (RNA o antigene): metodi diretti

Questi saggi tipicamente vengono eseguiti su tampone naso-faringeo, saliva o lavaggio broncoalveolare e se ne possono riconoscere due tipi:

Metodiche molecolari “NAT” (Nucleic Acid Testing): rilevano la presenza dell’RNA virale nel campione biologico attraverso l’identificazione di specifiche sequenze genomiche caratteristiche del virus e la loro amplificazione ciclica, rendendole rilevabili.

Tale metodica è quella attualmente raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle malattie (ECDC) per la diagnosi di COVID-19.

In generale le metodiche NAT offrono il vantaggio di una elevatissima sensibilità ed alta specificità; tuttavia richiedono generalmente laboratori attrezzati e personale specificamente addestrato.

Metodiche di ricerca dell’antigene: metodiche immunoenzimatiche che rilevano la presenza del virus nel campione mediante il riconoscimento di specifiche proteine di superficie del virus, avvalendosi di anticorpi specifici. Tali test potrebbero essere utilizzati per la diagnosi, sebbene attualmente siano presenti sul mercato solo pochissimi dispositivi di questa tipologia. In generale, le metodiche immunoenzimatiche per il rilevamento dell’antigene hanno una sensibilità ed una specificità inferiori alle metodiche NAT, ma offrono il vantaggio di essere più economiche e di necessitare di attrezzature di laboratorio meno complesse di quelle NAT, risultando idonee per i piccoli laboratori meno specializzati ed in paesi in cui le risorse economiche sono scarse. I test commerciali per il rilevamento dell’antigene si possono trovare anche sotto forma di test rapidi, oppure di test che si avvalgono di piccole apparecchiature (es. lettori di segnale).